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APPROFONDIMENTI
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Mushotoku:
Un concetto difficile, ma essenziale.

 

Nel Sutra del Cuore (Hannya Shingyo, o anche Hannya Paramita Shingyo), uno dei testi sacri fondamentali del Buddhismo Zen, si legge:

 

“...non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti; 

né c’è un regno del vedere, e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza; 

non vi è conoscenza, né ignoranza, né fine della conoscenza, né fine dell’ignoranza, 

e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte; 

né estinzione di vecchiaia e morte; 

non c’è sofferenza, karma, estinzione, via; 

non c’è saggezza né realizzazione. 

Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva....“

 

Quella parola, “realizzazione”, si può tradurre anche con “profitto” (toku, o shotoku, in giapponese), se ci si antepone la particella “mu” che vuol dire “non” ecco allora che “mushotoku” (quel nulla da conseguire) appare chiaro nel suo significato: 

“non-profitto”.

A dirla così è semplice, ma come diceva un Maestro: “facile ma difficile!”

 

Già, perché se è molto facile dire che nella pratica, dello Zen come nelle Arti Marziali, bisogna “non-attaccarsi”, non avere desiderio di guadagnare qualcosa, di vincere qualcosa o qualcuno, di essere i più bravi, di venire gratificati – dalle parole del maestro, dagli sguardi dei compagni, da una medaglia... - poi, una volta che si è lì, è sicuramente la cosa più difficile da ottenere.

 

Come si fa a non attaccarsi?

Anche se uno pensa “adesso non mi devo attaccare a niente” si sta esattamente attaccando al pensiero di non doversi attaccare!

 

In Dojo è facilissimo pensare a dove e come mettere il piede, la mano, alla spada dell'avversario, alla propria, e mentre si pensa a tutte queste cose la mente si perde, non è più libera, e se non è più libera le nostre azioni ne verranno influenzate, rallentate e peggiorate.

Ancora di più: se io pratico “per” qualcosa: per sentirmi più bravo, come dicevamo prima, o peggio ancora per sentirmi “più bravo degli altri”, ho completamente travisato il senso dell'allenamento e della pratica.

 

Praticare va fatto con piena concentrazione sulla tecnica, devo sforzarmi di fare esattamente quello che devo fare, ma senza pensare al fatto che lo sto facendo, se il Maestro mi sta guardando, se sto soggiogando l'avversario o se sto perdendo: tutti questi pensieri mi distraggono dallo studio della pratica, mi allontanano dal “qui ed ora”, mi fanno perdere il momento, mentre invece si deve vivere nel momento, bisogna che tutto abbia un senso nel momento esatto in cui lo facciamo; il senso stesso è il fatto che lo facciamo.

 

Un detto Zen dice: ‘Prima dell’illuminazione tagliavo legna e portavo l’acqua… dopo l’illuminazione taglio legna e porto l’acqua!’
In altri termini, una volta raggiunta l’illuminazione, si continua con la vita e gli impegni di prima, ma in modo trasformato, più consapevole.

 

Man mano che aumenta la nostra consapevolezza, pur continuando ad agire, ci rendiamo conto che non è l’azione in sé stessa che conta, ma l’attenzione e la consapevolezza che c’è dietro. Portiamo le azioni ad un livello più elevato. Anche se sono le stesse azioni di prima, adesso hanno un maggior significato.

 

Se si comprende questo allora diventa ovvio che nessun lavoro, nessun compito, è sminuente, né tantomeno va lasciato agli altri, solo perché io “sono più avanti”: se per un attimo pensiamo così siamo tornati al punto di partenza!

 

Dice il Maestro Deshimaru: quando un principiante inizia a fare zazen è molto concentrato sulla posizione, sul respiro, anche sul dolore che la posizione gli provoca; dopo qualche anno si è abituato, pensa di essere arrivato alla pratica corretta e smette di ascoltare anche i consigli di chi lo vuole correggere – in breve tempo comincia a peggiorare, perché non è più concentrato su quello che sta facendo, la sua mente è altrove.

 

Nel Katori, come nelle altre Koryu, non ci sono segni evidenti del livello del praticante – le “cinture” sono una cosa molto recente, introdotta nel secolo scorso; questo perché lo scopo delle vecchie scuole era quello di forgiare un guerriero “professionista”, ma le cinture ci dicono qualcosa di interessante: il principiante ha la cintura bianca, poi questa via via diventa di vari colori, fino a nera, e qui molti si fermano, pensano “ah, quanta strada ho fatto, quanto sono diventato bravo”, ma in questo momento hanno perso lo stato di mushotoku!
Chi invece prosegue, ad un certo momento tornerà ad avere una cintura bianca, esattamente come all'inizio, ovviamente sarà ad un altro livello di coscienza ma come prima spaccava la legna e portava l'acqua, adesso continua a farlo.

 

Dice Musashi, nel Libro del Vuoto, l'ultimo dei cinque libri che compongono la sua famosissima opera “il libro dei cinque anelli”: 

“Ku significa vuoto; ku è ciò che non si può conoscere. Naturalmente il vuoto è il nulla. Praticando la forma, si percepisce il vuoto. Questa è la natura di ku.”
e conclude:
“Giungi alla corretta considerazione prendendo per base la sincerità di spirito e l'onestà interiore; pratica Heiho (il “metodo” che espone in tutta l'opera) quotidianamente; sforzati di percepire correttamente e chiaramente la realtà. Fai di ku la tua Via e che la tua Via sia ku.

 

In queste parole rieccheggia uno dei passi più importanti del già citato Sutra del Cuore:

SHIKI FU I KŪ la Forma non è differente dal Vuoto

KŪ FU I SHIKI il Vuoto non è differente dalla Forma

SHIKI SOKU ZE KŪ la Forma è il Vuoto

KŪ SOKU ZE SHIKI il Vuoto è la Forma

 

Mushotoku non è qualcosa che attiene solo al Dojo, ma deve diventare la nostra stessa vita quotidiana, quello che facciamo – e come lo facciamo – in ogni momento di ogni nostra giornata, anche nel movimento più insignificante, nelle cose più umili.

Solo così la pratica delle Arti Marziali ha un senso: il suo senso non è quello di fare di noi dei guerrieri in grado di vincere qualunque avversario, ma renderci in grado di sconfiggere un solo avversario, il più difficile: il nostro ego.

 

Se riusciamo a realizzare lo stato di mushotoku, allora tutto ciò che facciamo ha un pieno significato, la nostra vita è piena di significato, non ci servono più riconoscimenti, guadagni, vittorie: ecco che siamo diventati dei Bodhisattva.

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