DOJO
Quella che noi europei chiamiamo, in modo molto semplificativo ed errato, semplicemente palestra, ha per i praticanti di arti marziali un significato ben più profondo e significativo: è il luogo (jō) dove si segue la via (dō).
Il Dōjō è visto sia come il luogo dove ci si allena e si apprende ma soprattutto come simbolo del profondo rapporto che lega il praticante al Maestro che insegna (Sensei 先生 ”Nato prima” ) e all’arte marziale che si sta apprendendo: Quindi un luogo di crescita innanzitutto spirituale e morale oltre che fisica.
La sua struttura gerarchica è, anche per l’influsso del Bushidō, altamente organizzata; il Sensei ne è il punto di riferimento e colui che stabilisce norme e regole. Il suo ruolo è coadiuvato da altri insegnanti e allievi che praticano da più tempo (Senpai 先輩 ovvero “senior”), mentre gli allievi meno esperti (kōhai 後輩, "junior") apprendono le regole dal maestro e si esercitano assistiti dagli altri insegnanti e dai senpai.
E’ importante notare come l’apprendimento dell’arte (quale che sia: Kenjutsu, Aikido, Judo etc), nel Dōjō, implica l’apprendimento di regole etiche e morali quali l'attenzione alla propria persona, la correttezza ed educazione nei confronti degli altri, equanimità nei rapporti con gli altri allievi a dispetto della condizione sociale “esterna”, assistenza ai kōhai, che vengono trasmesse dal maestro e dagli allievi che praticano da più tempo (Senpai) in primo luogo tramite l’esempio.
Quindi il praticante che si appresta ad entrare nel Dōjō entra in un altro mondo, dove deve purificarsi di quanto viene dal mondo esterno, più prosaico, per concentrarsi esclusivamente sull’apprendimento; anche per questo, oltre che per evidenziare il fatto che tutti gli allievi sono uguali agli occhi del maestro, si indossa un Keikogi (vestito da pratica) uguale per tutti o che si differenzia, e solamente in alcune scuole, per il livello di apprendimento dell’allievo.