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DOJO

Quella che noi europei chiamiamo, in modo molto semplificativo ed errato, semplicemente palestra, ha per i praticanti di arti marziali un significato ben più profondo e significativo: è il luogo (jō) dove si segue la via (dō).

 

Ereditato dalla tradizione buddista cinese (il luogo dove il Buddha ottenne l’illuminazione) venne ereditato dal Bushidō, ovvero la via del Bushi (Il samurai, o appunto Bushi, ha un codice comportamentale estremamente particolareggiato che in Europa trova l’equivalente nel cavaliere cortese medievale) tramite l’influenza della pratica Zen (la pratica buddista giapponese). 


Il Dōjō è quindi visto sia come il luogo dove ci si allena e si apprende ma soprattutto come simbolo del profondo rapporto che lega il praticante al Maestro che insegna (Sensei 先生 ”Nato prima” ) e all’arte marziale che si sta apprendendo: Quindi  un luogo di crescita innanzitutto spirituale e morale oltre che fisica. 


La struttura  gerarchica all’interno del Dōjō è, anche per l’influsso del Bushidō, rigida ed organizzata; il Sensei ne è il punto di riferimento e colui che stabilisce norme e regole, coadiuvato da altri insegnanti, suoi allievi che hanno raggiunto una conoscenza elevata e dagli allievi che praticano da più tempo (Senpai 先輩 ovvero “senior”) mentre gli allievi meno esperti (kōhai 後輩, "junior") apprendono le regole dal maestro e si esercitano assistiti dagli altri insegnanti e dai senpai.


E’ importante notare come l’apprendimento dell’arte (quale che sia: Kenjutsu, Aikido, Judo etc), nel Dōjō, implica l’apprendimento di regole etiche e morali quali la pulizia personale, la correttezza ed educazione nei confronti degli altri, equanimità nei rapporti con gli altri allievi a dispetto della condizione sociale “esterna”, assistenza ai kōhai, che vengono trasmesse dal maestro e dagli allievi che praticano da più tempo (Senpai): in primo luogo tramite l’esempio.


Quindi il praticante che si appresta ad entrare nel Dōjō entra in un altro mondo, dove deve purificarsi di quanto viene dal mondo esterno, più prosaico, per concentrarsi esclusivamente sull’apprendimento; anche per questo, oltre che per evidenziare il fatto che tutti gli allievi sono uguali agli occhi del maestro, si indossa un Keikogi (vestito da pratica) uguale per tutti o che si differenzia, e solamente in alcune scuole, per il livello di apprendimento dell’allievo.

 

 

L'ATTEGGIAMENTO DEL PRATICANTE IN DOJO

L'atteggiamento del praticante serio e sincero dovrebbe essere libero da pregiudizi.

Sforzatevi di fare quello che vi viene consigliato (anche se non se ne capisce il senso).

Sforzatevi di non "fare "quello che vi viene in modo spontaneo o comodo, ma cercate di "studiare".

Non replicate quando chi conduce la lezione fa correzioni o vi dà consigli, praticate senza interruzioni.

A volte per fare un salto di qualità bisogna diventare un po' egoisti e lavorare su sé stessi. Uscite da quelle dinamiche che ci portano a dare consigli e a insegnare e non far lavorare l'altro. Questo non far lavorare l'altro (bloccarlo o controllarlo di continuo), ci mette in una condizione di competitività con lui, per cui non facciamo che occuparci di lui (nel bene e nel male) e non occuparci di noi e della nostra crescita.

Questo non vuol dire evitare di praticare con chi è meno bravo di voi, ricordatevi sempre che all'inizio si è tutti "cinture bianche".

"QUANDO IN SITUAZIONI PARTICOLARE NON SAPETE COSA FARE, OSSERVATE I SENPAI E IMITATELI"

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